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Vale, in Galizia 1


HANNO LAVORATO NELL'AREA DEVASTATA
DALLA PETROLIERA «PRESTIGE»

A casa i volontari anti-inquinamento
Una cinquantina di torinesi ha ripulito
le spiagge della Galizia


Giacomo Bramardo



Torneranno domani, in pullman, dopo dieci giorni di lavoro volontario sulle coste della Galizia. La squadra di giovani torinesi - 53 per l'esattezza - partiti il 20 luglio per dare il loro contributo alla pulizia delle spiagge invase dal disastro ecologico della petroliera «Prestige», è l'ultimo gruppo di volontari a lasciare la zona: il governo spagnolo ha deciso, a otto mesi dall'incidente, di tagliare i finanziamenti per i gruppi che ancora fino a ieri arrivavano nel Nord della Spagna da ogni parte d'Europa per rendersi utili. I novantamila giovani passati in questi mesi sulle spiagge della Galizia hanno parlato davvero ogni lingua.

La nostra «armata» è costituita da giovanissimi. Hanno un'età compresa tra i 20 e i 29 anni, ragazzi e ragazze. Sono in gran parte studenti universitari, ma c'è anche chi lavora e ha sacrificato le sue ferie estive per aderire all'iniziativa.

Un'idea nata proprio da due di loro, Marco Pieri e Valentina Mosole, che erano entrati in Comune soltanto per avere informazioni e assistenza. «Un'idea che è piaciuta e che abbiamo subito accolto con entusiasmo», spiega Giovanni Bianco, responsabile degli scambi internazionali del settore Gioventù del Comune.
E i due ragazzi, in poche settimane, si sono ritrovati al centro di un progetto che ha raccolto altri 51 giovani della loro stessa città, pronti a partire con loro.
«Non credevamo di formare in così poco tempo un gruppo tanto consistente», confessa Bianco.

La zona che è stata assegnata loro in Galizia è quella delle spiagge vicine a Muros. Cinque ore al giorno di lavoro. Quello più duro e forse all'apparenza meno gratificante, visto che di cormorani da salvare - come si è visto per settimane in televisione - non ce ne sono più.
«Sono rimasti solo sassi e pietre da pulire - racconta uno di loro, Maurizio Pagliassotti -.Il sole picchia duro e i vapori che il petrolio continua ad esalare aggrediscono i polmoni. Siamo protetti soltanto da mascherine, piuttosto inadeguate. L'unico modo per difenderci è fare regolari pause. Un lavoro affaticante perché operiamo in punti dove il manto di greggio copre superficialmente le pietraie in riva al mare. Si raspa masso per masso, pietra per pietra, con attrezzi tipo cazzuola da muratore. Cerchi di grattare e portare via tutto quello che puoi, ma la traccia del petrolio rimane, se ne andrà soltanto con il tempo, l'acqua e la salsedine. Rimane comunque un'esperienza che fa riflettere».

Cinque ore armati di tute, mascherine, occhiali, guanti, stivali e badili. Lavorano in gruppi, sei responsabili. Squadra affiatata, si ride e si scherza volentieri pur immersi nella realtà di una catastrofe. Poi, nel pomeriggio, si torna al campus universitario di Santiago de Compostela, dove la squadra di lavoro italiana è stata ospitata. Docce, spuntino, ci si cambia di vestiti e si è pronti per le ore serali di libertà e meritato svago. Viaggio, vitto e alloggio in cambio di un contributo spese di 10 euro al giorno (contro i 18 degli altri campi di lavoro). Tutto il resto è spesato dal Comune, che ha fornito appoggio organizzativo e logistico. «Certo, non è stato un periodo lungo e il nostro lavoro, alla fine dei conti, sarà stato una goccia nel mare. Ma questi giorni, a ciascuno di noi lasceranno certamente qualcosa».


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manifestazione dicembre 03